NEET or NOT?
ROMA – Sempre più volte i cittadini rimangono basiti per le reali azioni del Governo Renzi volte alla diminuzione della disoccupazione sia giovanile sia di lavoratori oltre i cinquanta anni, che sembrano non generare nessun effetto favorevole. Oramai questa realtà, dove più e dove meno, si sta vorticosamente palesando in tutta Italia. Poche consolazioni poi arrivano dai giovani che, oltre a terminare gli studi. Decidono di dedicarsi completamente al nulla e all’ozio. Questa nuova “generazione”, se così la si può definire, viene chiamata NEET (acronimo di “Not in Education Employment or Trading”): essa comprende tutti i giovani dai 15 ai 29 anni che non sono studenti, lavoratori o imprenditori di piccole o grandi attività, e che, secondo l’Ufficio Statistico UE, in Italia sono in costante aumento, tanto da registrare nel 2014 un incremento fino a 2.4 milioni, in confronto ai 1.8 milioni del 2008.
Questo fenomeno poi è strettamente collegato anche ai singoli risultati scolastici raggiunti dai ragazzi: soltanto il 10% dei NEET ha una laurea, il 50% riesce a conseguire il diploma superiore, e il 40% possiede solo la licenza media. Infatti, analizzando questi dati si può notare una scarsa propensione allo studio. Bisogna considerare però tutti i fattori, come ad esempio la provenienza del ragazzo NEET: nel meridione, dove si conta il 39% di questi, la povertà è maggiore che al Nord, dove i NEET sono solo al 19%; le famiglie trovano sempre più difficoltà a far terminare gli studi ai propri figli. Come ci dice Chiara, ragazza di ventitré anni di Napoli, zona Quartieri Spagnoli, questa situazione è molto diffusa nel Sud Italia: “Io ho studiato fino a 16 anni nella speranza di finire gli studi al Tecnico Industriale, ma la mia famiglia non teneva i soldi e ho smesso”. Questa realtà è però confinata ad una determinata parte dell’Italia, mentre come spiegano Emiliano, Milanese di zona Duomo di ventotto anni, e Gennaro, di ventuno, Napoletano di zona Vomero, la maggior parte dei giovani italiani cade in questo stato da nullafacenti per la mancanza di stimoli da parte dello stato, che dovrebbe agire per la diminuzione della disoccupazione, soprattutto dei giovani, a prescindere dalla loro istruzione. Dato allarmante infatti è la disoccupazione giovanile italiana che ha raggiunto il 40.5% a confronto del 21.5% europeo. Ma nemmeno si può soltanto biasimare lo stato che, oltre a poter creare posti di lavoro, non può smuovere i NEET a favore dello studio e del lavoro e farli uscire quindi da questa condizione apatica e oziosa. D’altronde bisogna dire che altri stati europei come la Germania e l’Austria raggiungono solo il 9% di NEET, e ne consegue quindi che la disoccupazione è inferiore e che sicuramente sono messi a disposizione lavori più stimolanti e gratificanti. Mario, ragazzo Romano di venticinque anni, afferma infatti che, oltre a essere stato sottopagato dalle società in cui prestava servizio precedentemente, il lavoro come assistente, che attualmente svolge, è per lui un mero segno d’inadeguatezza per i suoi “stimoli”. Il tutto poi va associato alla grave crisi che sta inondando il nostro paese, in quanto vittima della grave depressione economica a livello mondiale e di un governo inefficiente e incapace di attuare leggi atte a superare lo stato di crisi. Inoltre anche lo stesso decentramento manifatturiero verso paesi meno sviluppati e sottopagati come l’Est Asiatico o il Sud America, continua a creare squilibri a livello di domanda offerta-lavoro, che continua a diminuire a causa della mancanza di leggi volte alla tutela del lavoro del nostro paese. Servono quindi riforme che vadano a promuovere il lavoro giovanile, che suscita più preoccupazione, in modo che la generazione di giovani NEET possa prendere coscienza che lavorare è un dovere per la salvaguardia dell’economia statale e familiare, ma anche atto d’integrità morale e risolutezza.